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# 3.02

Luogogesto


Una serie di oggetti che segnano il territorio e formano il mio mondo. Il punto nello studio dove negli anni è andato a delimitarsi lo spazio del dipingere, dove un giorno dopo l’altro stratifico e lascio traccia di un colore. Il luogo che porta al suo interno la potenzialità per il gesto di essere continuamente reiterato.

L’opera è composta da: "Sedimentario" struttura di acciaio e legno contenente telai e quadri ad olio su tela, "Diarioteca" struttura di acciaio contenente pittura ad olio su legno, "Quadro Infinito" struttura di acciaio e legno contenente un quadro pittura ad olio su tela, "Impronta Diario" pittura ad olio su legno, "Tavolo" con Impronta Ciotola, Legno e marmo, "Casa Diari Papà" struttura di legno, stoffa e acciaio contenente quaderni scritti a mano, "Pavimento" cemento elastico, "Sedimentazione" colori ad olio su tela, "Ciotola" ceramica e colori ad olio.

Quest’opera è il luogo in cui avviene l’azione fondante di tutto il mio lavoro. È la determinazione di un punto dove avviene il gesto. Qui, dentro, viene compresso il senso del mio processo, del mio pensare, della mia poetica. Il sottotitolo ne è la sintesi: Delimitare il proprio spazio attraverso il corpo. Reiterare il gesto. Generare la materia colore. Lasciare tracce. Archiviare il tempo dell’esistenza.
Il titolo è un termine inventato che porta in sé due parole: Luogo e Gesto. Con questo intendo dire il posto dove l’azione può compiersi, dove può procrastinarsi e trasformarsi in continuazione. Il gesto è quello del dipingere, o meglio la possibilità che ha l’uomo di continuare ad esistere attraverso il manifestarsi di un atto. Un atto preciso, quasi meccanico, astratto, svuotato di qualsiasi narrazione che riparte ogni giorno da capo, che riprende sempre dallo stesso punto, ma che non si annulla, non si cancella, anzi porta in sé tutta la memoria di tutto quello che lo precede. Si tratta di creare la condizione per cui la cosa accada, possa cioè manifestarsi all’infinito. Piano piano è andato a precisarsi un sistema di lavoro che con desiderio, volontà e metodicità porta a far rivivere ogni giorno questo gesto, questo rito. 

In poche parole, questo il processo: Tutti i giorni appena arrivo nel mio studio mi dirigo verso la mia tavolozza, la “Ciotola” e genero un colore. Non uso mai un colore puro, parto sempre da ciò che trovo lì dentro sporcandolo con qualcos’altro. Quotidianamente il colore si rinnova, la materia si trasforma, si consuma e non si accumula. Appena pronto, questo colore, lo spalmo sulle mie superfici: il Diario, il Quadro Infinito, la Sedimentazione.
Il Diario non cancella nulla, trattiene tutto, raccoglie tutti colori generati all’interno della Ciotola. Sono quelli che mantengono una traccia di tutta la vita.
Il Quadro Infinito invece è il suo opposto. È una continua cancellazione, che non dissolve materia ma anzi la intensifica, la condensa e crea spessore. Tutto rimane lì dietro accumulato, stratificato.
E infine la Sedimentazione che a differenza degli altri due non porta in sé ogni colore venuto fuori dalla ciotola. Seleziona cosa trattenere e cosa eliminare, quasi come fosse un distillato della tavolozza. 

Quando il passaggio dell’esistenza ha lasciato delle tracce del suo transito tutta la materia-colore che si è formata viene conservata dentro ai contenitori, dei veri e propri Archiviatori dell’emotività.
Il Sedimentario è un deposito dove si raccolgono tutte le Sedimentazioni immagazzinate nel mio studio. Diventa in un certo senso uno strumento di misurazione, un misuratore di quantità. La capienza del contenitore determina la materia che il tempo deve formare a poco a poco. Il Sedimentario è in continua trasformazione, come un magazzino che sempre si svuota e sempre si riempie di nuovo. Aiuta a trovare la giusta misura. 
Il Quadro infinito che dipingo ininterrottamente dal 2006 ha cominciato a stratificarsi appeso su una parete in un angolo buio dello studio. Dopo alcuni anni quando la tela ha cominciato ad allargarsi, ad ispessirsi, ad avere un certo peso, è stato necessario spostarlo per poterci continuare a lavorare, per conservarlo e per eventualmente portarlo fuori dallo studio. É stato così collocato all'interno di un contenitore, Teca del quadro infinito, che funge da parete, da protezione e scatola da trasporto.
Una volta finiti i Diari, vengono riposti nella Diarioteca. Questo oggetto diventa come una specie di raccoglitore, misuratore, archiviatore del tempo che contiene i Diari dipinti fino ad oggi e quelli che mi rimangono da dipingere. Ho come immaginato il tempo che mi resta da vivere e ho accumulato una quantità di legno che corrisponde a quel tempo. All'inizio la parte dipinta era piccola e quella intonsa grande. Negli anni gradualmente questo oggetto si impregnerà di colore. E' come se avessi costruito uno spazio che andrò a riempire con la mia vita. Il senso non è quello della morte, della fine, della chiusura, ma quello di uno spazio fisico e temporale dove lasciare scorrere il normale flusso delle cose attraverso il colore.

Dell’opera fanno parte anche le Impronte: l’Impronta Diario, l’Impronta Sedimentazione (retro del Sedimentario) e il Pavimento. Mostrano il punto di contatto che c’è stato tra le pitture e lo spazio dove sono state originate, mantenendo così evidente il passaggio del corpo che attraverso il suo movimento ha lasciato un segno. 

Quel che è successo praticamente è che si andato a formare gradualmente uno studio dentro allo studio. Come se il gesto del dipingere si fosse condensato, compresso, circoscritto in una piccola porzione dello studio. Questo spazio dentro lo spazio è andato a rimpicciolirsi, a compattarsi fino al punto di pensare addirittura di spostarlo anche fuori dallo studio stesso. Forse possiamo dire che lo studio in sé o meglio questa porzione precisa di spazio è diventato anch’essa un Archiviatore. 

Prima o poi mi piacerebbe esporre il Luogogesto in uno spazio completamente fuori scala. Qualcosa tipo un hangar, una cattedrale, uno spazio monumentale. Probabilmente nel rapporto tra le due dimensioni esageratamente differenti si creerebbe una frizione, un cortocircuito che farebbe emergere il senso del tempo insito in questo lavoro. Il tempo della vita, il più lungo di cui un essere umano può fare esperienza è di per sé molto piccolo rispetto al tempo del mondo, accadrebbe quindi che la dimensione spaziale starebbe lì a rappresentare la dimensione temporale.

Da ottobre 2020 il “Luogogesto” si è trasformato completandosi con dei piedistalli che lo sollevano da terra di circa 40-45 cm. Una pedana rialza il pavimento di cemento elastico e altri quattro carrelli sorreggono il Quadro Infinito, la Diarioteca, il Sedimentario e la Casa Diari papà. Lo spazio vuoto al centro dentro il quale mi muovo per dipingere e i quattro archiviatori che lo circondano, lo delimitano, lo contengono sono tutti stati posti su dei sostegni. Quasi come se questa alzata fosse lì a sottolineare, a confermare uno spazio preciso, il proprio campo d’azione. Come se si fosse andato a definire un piccolo palcoscenico per un’azione quotidiana, privata, scostata dal resto del mondo.

(Scritto nel 2019. Modificato nel 2021)
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Negli anni ho condensato tutto in un punto
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Ph. F. Allegretto
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Il "Luogogesto" dal di fuori nel 2021
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Il "Luogogesto" dal di fuori nel 2021
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Ph. F. Allegretto
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Il "Luogogesto" dal di fuori nel 2021
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L'interno del "Luogogesto" visto dal di fuori dalla parte sinistra
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Ph. F. Allegretto, 2021
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L'interno del "Luogogesto" visto dalla parte destra
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Ph. F. Allegretto, 2021
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Maria entra nel "Luogogesto"
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Ph. F. Allegretto, 2021
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Lentamente nel tempo ho definito il mio spazio dove ogni giorno rinnovo il mio gesto
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Ph. F. Allegretto, 2019
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Maria comincia a dipingere sul "Quadro infinito", marzo 2021
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Ph. F. Allegretto
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Maria esce dal "Luogogesto" dopo aver fatto il gesto quotidiano (2021)
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Ph. F. Allegretto
Il gesto quotidiano
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Video L. Pes, 2018