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autoritratto / lasciarsi re-interpretare / sintesi in un disegno (alessandro mendini)
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# 21.03

Sintesi in un disegno (alessandro mendini)


All’interno di "Autoritratto" c’è un Capitolo “Segnare il territorio” che si apre con un’immagine fatta da mio zio, Alessandro Mendini.
Quando cominciai a progettare questo Sito gli chiesi attraverso una lettera se fosse stato disponibile ad interpretare il mio spazio, il mio mondo. Lui mi rispose con un disegno.
“Questi disegni sono per me molto importanti” diceva “esprimono il mio rapporto intimo col mondo e con le cose (…). Il mio rapporto con il mondo è più mentale che corporale. Del mondo mi interessano più le relazioni psichiche che non la fisicità. Per questo sono più sensibile a entrare in contatto con la psicologia di una persona che a guardare il paesaggio del mare”.
Qui di seguito riporto la mia lettera con cui lo invitai a farmi un ritratto traslato attraverso una visione del mio spazio.
 
Lettera spedita allo zio Sandro il 15 luglio 2013
Ho sognato mio cognato A. M. che mi aveva progettato una casetta con un telo di un metro per due metri. Per mezzo di tiranti e di centine l'adattavo in ogni luogo. Non era una tenda, ma una vera e propria abitazione con i servizi e, persino, un giardino. Quando non l'abitavo più, me la mettevo addosso e diventava un vestito. Questo avveniva sullo sfondo di paesaggi pallidi, con colori tenui e autunnali.
(Dal "Diario" di Piero Morganti, Verona 22 agosto 1987)
Caro zio Sandro,
ti scrivo perché mi piacerebbe coinvolgerti in una cosa che riguarda il mio sito. Uno dei capitoli si chiamerà: "Il Luogo del lavorare". Si parte da Venezia e dalla coincidenza di questa città con il mio lavoro. (Paradossalmente è come se la laguna, il suo sistema di corsi d'acqua, Venezia tutta, fosse uguale alla tazza dove produco il mio lavoro quotidiano e le mie pitture fossero come lenzuoli che assorbono dal basso verso l'alto l'acqua sporca, l'acqua colorata dei canali. La fanghiglia, quello che rimane sul fondo dei canali è una materia accumulata come è quella che rimane sul fondo del mio sgocciola-pennelli.)
Si affronterà lo spazio dove le cose succedono, dove il lavoro si pensa e si fa. Si parlerà del mio studio, ma anche del percorso casa-studio, della Fondamenta accanto e di Pellestrina.
Con luogo intendo dire sia una condizione mentale che fisica. Riguarda un dentro, ma anche un fuori. Un fuori lontano e un fuori vicino. Il mio è come una specie di ecosistema che si regge su se stesso. C'è un aspetto solitario, quando sono dentro sto dentro e il fuori rimane fuori, l'esterno é là e io sono qua, tra me e me. Ma c'è anche un aspetto di adiacenza, di contatto con gli altri, é dalla vicinanza, dalla prossimità con altro che il nucleo si nutre. 
Mi viene in mente il bel intervento che hai fatto qualche mese fa alla mia conferenza in Triennale:
"I colori che esprime la Maria... e poi questa sua ossessività intima di chiusura all'interno del suo piccolo edificio a Venezia che è il suo studio che è quasi una casetta in un campo a sé dove mescola su queste ciotole in continuità questa specie di brodo di colore che continua a trasformarsi."
Mi chiedevo se a partire da qui, da questa tua visione della mia casetta-studio e della ciotola ti venisse voglia di interpretare con un disegno il mio luogo.
Ti abbraccio forte,
tua Maria

Qui di seguito la trascrizione dell’intervento che lo zio Sandro ha fatto durante una mia conferenza alla Triennale di Milano
Tutto questo sistema di cose l'ho vissuto sempre durante la mia vita in maniera molto emozionale per cui vedo le cose anche da un altro punto di vista. Certamente i diari “del” Piero Morganti come diceva “la” Francesca Pasini e i quadri “della” Maria sono dei fatti molto esistenziali, sono dei movimenti continui legati all'autobiografia. Cioè sono delle autobiografie. Autobiografie estremamente ravvicinate quando diventano proprio dei diari. È come una specie di esistenza in maniera calligrafata, a parole per Piero, e in maniera a colori per la Maria. Questo bisogno, questa capacità, questa continuità ossessiva di fare il diario è una cosa che mi ha sempre intrigato. Io ci ho provato e questa cosa l'ho fatta magari otto, dieci, trenta volte a grandi distanze di tempo e di spazio con tecniche diverse specialmente in alcuni scritti sulle mie riviste Casabella, Modo e anche Domus. Ho sempre pensato devo andare avanti, devo continuare, devo farlo tutte le mattine. Non l'ho fatto. Però quei pezzettini in cui ho descritto una mia giornata o in cui ho descritto per esempio in corrispondenza di un giorno, di una tal sensazione, queste cose sono state per me di una grande intensità.
I colori che esprime la Maria sono secondo me un modo per rendersi sicura. Sono definiti da questa sua ossessività intima, da questo suo chiudersi all'interno del suo piccolo edificio a Venezia che è il suo studio (quasi una casetta in un campo a sé) dove mescola in continuità su queste ciotole una specie di brodo di colore che continua a trasformarsi. Il mio modo di lavorare e anche di concepire i colori è dispersivo, pieno di fughe, di transiti, di grandi caos. Non so mai scegliere un colore da solo, l'ultima decisione è sempre affidata ad altri. Invece la Maria ha questa sequenza metodica, quella di una persona che all'interno di quel piccolo edificio si è creata una sicurezza, addirittura comperando i pezzi di legno in garanzia per altri settantanni, centodiecianni. Quanti legni hai comprato? Io spero tanti! A me ne basterebbero molto meno.
E anche questo affidarsi alle monocromie. Un quadro è una monocromia. In più quel piccolo enigma, quel regalo che viene fatto di una strisciolina che concede a te che guardi, quello lì è diverso da quell'altro... È una strana situazione, che io ammiro molto.

(Scritto nel 2015. Modificato nel 2018, 2021)
 
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