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# 27.05

Catalogarla (la materia)

Un sistema operativo


 
La materia dopo essersi formata seguendo l’andamento che ho raccontato nel paragrafo precedente, viene poi catalogata, trattenuta, raccolta e conservata, fino ad arrivare ad avere la forma sostanzialmente di un archivio composto da una serie di dispositivi, di involucri.
 
Il “Luogogesto” è la situazione che permette all’azione di essere per sempre reiterata e lo spazio dove tutta la materia che si è formata lentamente nel corso degli anni viene riposta ed archiviata. È il luogo appunto dove ci si prende cura del gesto pittorico, della possibilità di rigenerare sempre l’atto espressivo, della possibilità che ha l’uomo di continuare a lasciare tracce della propria esistenza su questo mondo. In questo spazio oltre agli strumenti per dipingere, come la “Ciotola”, sono contenuti quelli che chiamo gli “Archiviatori” ovvero la “Diarioteca”, il “Sedimentario” e il “Quadro infinito”.
 
La “Diarioteca” è lo spazio che contiene tutti i “Diari” che sono stati realizzati e tutti quelli che verranno riempiti a poco a poco negli anni. La quantità di legno che è conservata lì dentro è quella necessaria a coprire l’arco intero di una vita.
 
Il “Quadro infinito” è contenuto e sostenuto dentro un cavalletto-teca che da un lato funge appunto da cavalletto per pittore e dall’altra come teca per proteggerlo.
 
Il “Sedimentario” è allo stesso tempo luogo di produzione e magazzino. Su un lato la parete su cui dipingo ogni singola “Sedimentazione” e dall’altro lo spazio in cui vengono catalogati in ordine cronologico e per ordine di grandezza i quadri. Più che un “Archiviatore” in fondo è un magazzino che si riempie e si svuota in continuazione, mantenendo sempre una certa misura della quantità di cose che si possono sopportare in un certo spazio fisico e mentale. È una specie di bilanciatore della quantità.
 
Il cominciare a catalogare è stato un processo scatenante. Come se la scoperta che si potesse fare rimanere le cose su questa terra in primis anche solamente elencandole, mi abbia tirato fuori in maniera dirompente qualcosa di latente, qualcosa che avevo già dentro.
Appena ho cominciato a mettere una cosa accanto all’altra con una certa logica dando ad ognuna lo stesso respiro, lo stesso peso, la stessa importanza, senza nessuna gerarchia, ho avuto la precisa sensazione che questo sarebbe stato il metodo giusto che avrebbe aiutato ad esplicare il mio modo di sentire il tempo, di rendere visibile la consequenzialità delle cose, di considerare ogni passo come un dato di fatto incontrovertibile e di assecondare la mia necessità di non lasciare andare via mai nulla.
Non solo capivo che quello era la regola che portava avanti il lavoro, ma anche che a poco a poco quell’agire diventava la forma stessa del mio lavoro. Piano piano nel tempo si sono concretizzate configurazioni compatte, unitarie, insiemi che portano in sé, nella ripetizione, il senso del susseguirsi degli eventi.
 
 
 
 
 
(Testo scritto nel 2022)
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