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# 3.03

Sitomente


“Descrivere ciò che avviene in noi quando pensiamo? Descrivere: vedere la forma del pensiero in movimento (…) Non autobiografia, ma storia di ciò che in noi avviene quando pensiamo”
Dal “Diario fenomenologico” di Enzo Paci, 3 luglio 1958

Il "Sitomente" ovvero il mio Sito web che diventa il luogo da abitare in solitudine e contemporaneamente il tramite per mettersi in mezzo agli altri.
 
É come se avessi spostato il mio cervello dall’interno all’esterno, dalla mia cassa cranica ad un punto qui di fronte a me. Come se il mio encefalo continuasse a ragionare fuori di me aiutandomi a visualizzare in maniera concreta il mio pensiero.
Tutto si genera cosi velocemente, il ritmo si accelera, le idee si accumulano, e so che poco a poco ognuna troverà la sua giusta conformazione.
 
Questo soggetto pensante ha fatto diventare la mia mente visibile e concreta e quando lo porto in giro e lo racconto ad alta voce mi fa sentire come una specie di cantastorie che trasmette in forma orale la propria storia accompagnato da cartelloni fatti di parole e immagini.
 
In fondo è un po’ come se mi fossi costruita una casa, una tana dove stare, abitare, ma anche un posto che anela ad avere una interazione con gli altri.
Quasi come se lo spazio dello studio si replicasse virtualmente nello spazio del sito, entrambi spazi chiusi ed introspettivi, nati per adagiare la propria pratica e il proprio pensiero, ma allo stesso tempo luoghi, tutte due, di apertura ed accoglienza.
 
Il modo in cui la mente-sito articola la sua riflessione è attraverso continue aggiunte di frammenti di pensiero. I ragionamenti sui singoli temi crescono, si ampliano, si modificano lentamente nel tempo. Alcune volte si sovrappongono, si ripetono tali e quali, altre volte invece evolvono in qualche cosa di diverso aggiungendo a poco a poco, negli anni, nuove considerazioni.
Si possono trovare le stesse opere, le stesse riflessioni ripetute più volte in differenti capitoli, ma ogni volta con un'accezione diversa, un’angolatura differente.
Si tratta del continuo affinamento e precisazione di un pensiero che pur essendo arzigogolato, pur tenendo sempre presente la complessità delle cose, spera a poco a poco di arrivare ad una semplicità, ad una sintesi finale.
 
È come se mi fossi impegolata nel tentativo inarrestabile di strutturare, di definire ogni cosa, di cercare di capire tutto anche sapendo che questo sforzo è per sua natura destinato a fallire all’infinito. Finché sarò viva terrò in moto la possibilità di rivedere ogni cosa e finché ci sarà la possibilità dello sguardo di qualcun altro, le cose potranno essere sempre messe in discussione e vivificate. Il procedimento rimane eternamente aperto, non concluso.
 
Per chi entra all’inizio tutto ciò può presentarsi difficile ed ostico, perché questo non è il libro dove spiego, ma ripeto è il cervello con cui penso. La mia speranza è che per quelli che vorranno passarci un po’ di tempo e proveranno ad abbandonarcisi al suo interno diventi una forma non tanto per conoscere me, ma per conoscere se stessi. 
Una volta uno degli ospiti del sito mi ha detto una cosa che è esattamente quello che mi auspico possa accadere: “Entrando nel tuo sito ho avuto la percezione di essermi perso dentro ad un labirinto. All’inizio mi sentivo disorientato e confuso, ma poi ne sono uscito con la percezione di avere fatto un percorso tutto mio, che mi aiutava sì a capire la tua storia, ma poi anche la mia.”
 
Succede, alcune volte, che chi torna in questo spazio non ritrova più le cose esattamente come le aveva lasciate. Si trova all’interno di un luogo cambiato con parole e immagini differenti. Micro e macro spostamenti di senso lo obbligheranno a ricostruire un percorso nuovo. 
I cambiamenti possono riguardare non solo i contenuti, ma anche il dispositivo stesso. Ogni tanto infatti chiedo al programmatore di aiutarmi a ripensare la struttura stessa per adattarla al mio pensiero trasformato. E quindi per il visitatore che ritorna la sensazione potrebbe essere quella di essere entrato in un’architettura dove al suo interno non solo sono stati spostati, eliminati o aggiunti mobili e oggetti, ma dove anche le pareti stesse si sono mosse o moltiplicate andando a definire nuovi spazi.
 
La forma che assume questo cervello pensante e fumante è un po’ come quella di una architettura coperta da una grande cupola (la mia ciotola ingigantita e ribaltata) con tante stanze piccole e grandi, tanti meandri non sempre collegati tra di loro.
L’unico modo per conoscere l’insieme delle cose è entrare ed uscire in continuazione dalle stanze. Per riuscire a ritrovarcisi si deve attivare l’uso della memoria un po’ come accade nel gioco delle carte “Memory” dove il giocatore si trova a fare un percorso all’indietro cercando di ricordare in quale punto aveva visto in precedenza una certa immagine.
Questo sforzo lo devono fare gli ospiti-visitatori, ma lo devo fare anch’io ogni volta che metto mano ai miei assilli. 
 
Qualcuno potrebbe obiettare ma perché ti sei complicata la vita in questo modo, perché non hai studiato come si costruisce un archivio, perché non hai guardato prima ad altre forme di sito, perché non ti sei affidata a dei progettisti, perché non hai fatto costruire uno schema e poi ti ci sei adattata? 
Perché prima di tutto ho sempre pensato che lo spazio entro cui stare me lo sarei dovuto scegliere io, che non avrei mai dovuto accettare una dimensione predeterminata dagli altri (così come ho fatto con la mia espressione pittorica, per la quale lentamente negli anni ho determinato io stessa il formato entro cui dipingere). “Mai accettare le cose così come ti vengono date, parti dalle tue inclinazioni, dalla tua interiorità Maria!” Questo è il motto che mi sono ripetuta tutta la vita.
E poi perché avere costruito tutto questo sistema di cose in maniera empirica e continuare a tenerlo in vita attraverso l’esperienza diretta è tutto quello che considero fondamentale nella costruzione finale dell’opera. Il percorso per arrivarci è più importante dell’esito finale. Il processo è più importante della forma.

(Scritto nel 2019. Modificato nel 2020)
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